LE ISCRIZIONI ROMANE DI AMELIA

FONTI EPIGRAFICHE E FONTI MANOSCRITTE

Il numero d’iscrizioni romane provenienti dalla città di Amelia (Ameria) e dal suo interland è senza dubbio tra i più elevati all’interno della regio VI. Già Eugenne Bormann, studioso di antichità e curatore dell’undicesimo volume del CIL (Corpus Inscriptionum Latinarum), classifica ed inserisce come autentici oltre 220 testi.

Il manoscritto B. V. 9

Non solo fonti epigrafiche, ma anche secentine. È il caso del manoscritto B. V. 9., conservato nella Biblioteca Iacobilli di Foligno, già consultato del Bormann nell’800 e più volte menzionato nelle note di studi successivi. Il manoscritto suscita un certo interesse agli occhi del ricercatore perchè raccoglie al suo interno un lungo elenco d’iscrizioni della regio VI divise, come avviene nel CIL, secondo il luogo di provenienza.
Nel capitolo dedicato a Ameriae (Amelia), si trovano annotate ben 219 iscrizioni: di queste, 29 (13%) sono reperibili, cioè conosciamo la loro attuale ubicazione presso enti pubblici o presso privati, 135 (62%) sono irreperibili, di cui cioè ignoriamo l’attuale collocazione, ma menzionate in edizioni critiche e studi del passato, 55 (25%) sono inedite, cioè estranee alla comunità scientifica e/o assenti in letteratura.

Alcune iscrizioni sono state copiate più di una volta da mani diverse con differenze, spesso significative, tra un esemplare e l’altro. In particolare, 6 iscrizioni reperibili sono state trascritte due volte; 16 iscrizioni irreperibili due volte e 4 tre volte; nessun doppio esemplare tra quelle inedite.
Al netto di questi “doppioni”, il numero rimane significativamente alto: 189 iscrizioni di cui 55 inedite!

Frammenti di vita passata

Ogni iscrizione è un fotogramma che ci permette di carpire, a volte solo fugacemente, le azioni compiute da uomini e donne del passato nelle loro vite, nella sfera pubblica come in quella privata. Ad Amelia, il quattuorviro Titus Roscius Autuma (membro del collegio magistratuale a capo del municipium) dedica a proprie spese, durante il suo secondo mandato, un thesaurus di settantacinque libre (equivalente a circa 24, 5 kg) ad un destinatario ignoto. Curiatus Cusanus offre un ex-voto alla dea Fortuna per una qualche grazia ricevuta, mentre un illustre uomo della città esprime la volontà, una volta morto, di far organizzare con la sua eredità banchetti pubblici commemorativi due volte l’anno e di far distribuire gratuitamente vivande nel giorno del suo compleanno. Nel testo vengono ricordate, come in un curriculum, tutte le pubbliche cariche ricoperte in vita: da responsabile dell’annona a prefetto di vari collegi professionali (dei centonarii, degli scabillarii e dei fabrii tignarii, rispettivamente addetti allo spegnimento degli incendi, flautisti e falegnami). passando per il sevirato augustale,

Non mancano esempi d’epigrafia funeraria. Bettuedia Felicla ricorda il marito probissimo Gaius Terentius Hilarianus, seviro della città, che visse cinquantasei anni, undici mesi e quattro giorni. Clusinatia Auge ricorda il marito Felix, schiavo pubblico del municipio, con la formula bene merenti, cioè “meritevole”. Il liberto augusteo Titus Flavius Isidorus commemora la moglie Flavia Hagne e se stesso così come Flavia Protogenia e Claudius Callistianus Eudemoni, servitori imperiali.

Dal manoscritto al web: nasce il progetto Giscobius


Molte delle iscrizioni copiate nel manoscritto sono corredate di un cappello introduttivo con l’annotazione della silloge consultata (quando si tratta di tradizione indiretta) o del (presunto) luogo di conservazione nel 1600.

Prendendo spunto da queste informazioni, è stata realizzata con il software open source Qgis una carta tematica storica seguendo le indicazioni riportate nella secentina. Ciò è stato possibile attraverso l’identificazione dei luoghi e delle abitazioni secentesche con i loro corrispettivi moderni, operazione non semplice e per la quale desidero ringraziare ancora una volta il professor Enzo Lucci.
Questo strumento potrà servire in futuro come traccia per eventuali ricerche, fermo restando l’impossibilità in alcuni casi di individuare con precisione l’antico luogo di conservazione.

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